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IL TEMPO A RAVENNA
di Franco Gabici
Gli orologi solari appartengono all’era del silenzio. Soppiantati dai congegni meccanici, che dando una voce al tempo regalavano anche l’illusione di poterlo in qualche modo dominare, sono oggi considerati reperti di un passato che non ritorna, romantici strumenti che scandivano un tempo fatto di ritmi senza fretta.
L’ombra scivolava lenta e silenziosa sul quadrante come una carezza leggera, e sembrava quasi che il tempo scorresse senza ferire. Ma anche quell’ombra impalpabile che ci poneva di fronte allo scorrere degli eventi costituiva già il primo segno di un complesso rapporto col tempo, che da categoria astratta si trasformava in qualcosa di concreto che coinvolgeva direttamente la nostra quotidianità. Dietro alla poesia dell’ombra, dunque, erano in nuce i malesseri dell’epoca moderna, che ha soppiantato gli orologi solari a favore di altri congegni che misurano il tempo e le nostre frette.
Probabilmente il primo a intuire qualcosa di fastidioso dietro alla poesia degli orologi solari è stato un romagnolo, il commediografo e scrittore Tito Maccio Plauto, che mise in bocca a un suo personaggio una significativa invettiva contro il tempo. Il soldato, infatti, si scaglia contro l’orologio solare installato a Roma considerandolo un pericoloso “cavallo di Troia” che sarebbe penetrato subdolamente nella sua vita, tiranneggiandolo e rendendolo schiavo. Tutto questo accadeva nel II secolo a.C., ma l’invettiva del soldato romano ha la attualità del presente:
Che gli dei smascherino il primo
che ha inventato la divisione delle ore,
il primo che ha messo in questa città un orologio solare.
Per nostra sfortuna, ci ha tagliato il giorno a fette.
Durante la mia infanzia non esistevano
orologi all’infuori della mia pancia.
Era per me l’orologio migliore, il più esatto;
quando si faceva sentire, si mangiava,
a meno che non ci fosse niente da mangiare.
Adesso, anche se c’è abbondanza di cibo,
si mangia solo quando piace al Sole.
La città è piena di orologi solari,
ma quasi tutti gli abitanti si trascinano
mezzi morti di fame.
Se il soldato di Plauto non vedeva di buon occhio l’orologio solare, altri si misero invece a costruirne perché, d’accordo, il tempo è tiranno, ma la sua misura resta pur sempre una necessità.
A Ravenna esistono pochi esempi di orologi solari, quasi tutti risalenti a tempi recenti. Un solo frammento marmoreo, del I secolo, testimonia l’esistenza in città di uno spettacolare orologio solare, l’Ercole orario (o Conchincollo come lo chiamavano i ravennati), del quale resta oggi solamente un frammento (un piede e parte della gamba) conservato al Museo Nazionale. Si trattava di un complesso di circa cinque metri di altezza raffigurante un Ercole inginocchiato che reggeva sulla spalla una conchiglia all’interno della quale era disegnato un quadrante solare. La statua, voluta dall’imperatore Tiberio Claudio Germanico, ebbe diverse vicende e trovò definitiva sistemazione nel Foro Asinario (attuale Piazzetta dell’Aquila), fino a quando il 18 giugno 1591 un terremoto non la mandò in frantumi.
Veduta attuale della “Piazzetta dell’Aquila”
Si diceva che l’Ercole orario segnasse anche le ore durante le notti di luna, ma uno studio accurato del monumento ha portato a escludere questa possibilità.
Per trovare altri segni di orologi solari occorre arrivare al VI secolo quando Boezio, alla corte di Teodorico, fabbricò un orologio solare e uno ad acqua per volere del re goto. Gli orologi, come scrive Cassiodoro, sarebbero stati regalati a Gondebaldo III, re di Borgogna.
Alla fine dell’anno Mille è arcivescovo di Ravenna il geniale monaco francese Gerberto di Aurillac, i cui interessi scientifici lo portarono a costruire anche orologi solari. Si ha notizia che nel 998 Gerberto costruisse un orologio solare per l’imperatore Ottone III utilizzando l’osservazione della stella polare per mezzo di un tubo senza lenti, procedimento forse nuovo a quei tempi:
A finibibus suis expulsus, Ottonem petiit imperatorem et cum eo diu conversatur in Magdeburg, horologium fecit, considerata per fistulam quadam stella nautarum duce.
La realizzazione del primo orologio meccanico pubblico ravennate si deve ai Polentani, che governarono la città per molti anni adottando tutto ciò che avrebbe potuto metterla all’avanguardia. Secondo il Bernicoli è assai probabile che Guido da Polenta rimanesse colpito dall’orologio meccanico di Bologna in occasione di una sua visita alla città insieme all’arcivescovo Pileo. Non è da escludere che si trattasse dell’orologio realizzato dal Dondi e inaugurato il 19 maggio 1356.
Prima di questa data non esistevano a Ravenna orologi meccanici, come può dedursi da una relazione del cardinale Anglico nella quale sono registrate le spese per il custode dell’orologio di Faenza, Forlì e Cesena. Per Ravenna, dunque, non è prevista la spesa per il custode dell’orologio, a dimostrazione che in città non esistono orologi meccanici.
Ci fu anche una colletta (o tassa speciale) per la costruzione di un orologio che fruttò 335 lire, 10 soldi e 6 denari. Una bella somma per quei tempi in cui, ricorda Bernicoli, con 20 lire si poteva acquistare un bue. La tassa, inoltre, risultò “obbedientemente pagata”, a dimostrazione che i ravennati tenevano moltissimo ad avere a disposizione una macchina per misurare il tempo.
Anche in età veneziana esisteva un orologio pubblico, come attesta un documento del 17 settembre 1462 dove si fa menzione del “cortile dell’orologio”.
Altri documenti dal 1396 al 1405 ricordano spesso “Rigono del fu Dino dei Cattani di Bagnacavallo”, abitante a Ravenna, e ricordato come Magister Rigo a relogio.
Il 7 marzo del 1510 il Maggior Consiglio affida ad Anastasio Cellini la costruzione di un nuovo orologio da sistemare nella facciata di San Sebastiano e San Marco, una chiesa che risale al XV secolo e la cui facciata fu ristrutturata da Camillo Morigia nel 1785 su incarico del cardinale legato Luigi Valenti Gonzaga.
Installato per “demostrare le hore de hora in hora iustamente”, l’orologio avrebbe sbalordito i ravennati perché non si trattava di un semplice meccanismo per segnare le ore. Esisteva anche un quadrante per indicare i giorni e un cerchio con lo Zodiaco azionato da un meccanismo che avrebbe indicato il giorno, il mese e il “segno zodiacale” corrispondente. Un altro “circolo” indicava invece le eclissi di Sole e di Luna. Completava il tutto la raffigurazione di alcune stelle fisse disegnate da Luca Longhi, che per questo lavoro percepì 6 scudi d’oro. Sull’orologio era possibile leggere anche il numero d’oro, l’epatta e la lettera domenicale.
Prima di ogni ora, una statuetta di Sant’Apollinare usciva da una nicchia e benediceva quanti stavano ad osservarlo.
Sotto al quadrante, in una nicchia, fu collocato una “Madonna col Bambino”, un bassorilievo che ben presto i ravennati chiamarono la “Madonna dell’Orologio”.
L’orologio, però, non fu pienamente realizzato in tutte le sue parti e in un documento è ricordato che Cellini nel 1512 ancora non aveva completato lo Zodiaco.
Sul quadrante, in sasso d’Istria, sono incise le 24 ore del giorno. Il quadrante, diviso in due parti, è visibile ancora oggi nel cortile pensile del Palazzo della Provincia, allora palazzo Cristino Rasponi, dove fu trasferito nel 1784 dopo la demolizione della facciata e della torre della chiesa.
L’orologio, pur passando attraverso diversi restauri, funzionò fino al 1726, quando Cornelio Bentivoglio fece costruire un nuovo orologio al quale applicò il meccanismo del pendolo.
Col tempo lo stato della facciata e il conseguente restauro del Morigia portò al rinnovo dell’orologio, che nel 1784 venne collocato sulla torretta della facciata, e dunque in una posizione più alta rispetto agli altri che in precedenza erano stati sistemati sulla facciata.
La costruzione del nuovo orologio è affidata al bolognese Cristino Fornasini, mentre l’armatura di ferro per sorreggere le campane è opera del ravennate Francesco Garavini. Le campane furono fuse da Carlo Ruffini di Reggio, che in precedenza aveva fuso le campane di San Domenico. Il nuovo quadrante è illuminato a gas e viene inaugurato il 23 giugno 1884, ma la nuova macchina non soddisfa i ravennati. Le “frecce”, infatti, sono troppo sottili e ad una certa distanza è praticamente impossibile leggere l’ora. L’orologio, inoltre, suona troppo in fretta rispetto a quello vecchio e dal momento che funziona male il cronista suggerisce al Comune di non pagare chi ha installato l’orologio.
I ravennati, purtroppo, sembrano abituati al cattivo funzionamento dell’orologio pubblico e già nella seconda metà dell’Ottocento il Ravennate denuncia le sfere ferme anche per più di un giorno, provocando non pochi disagi: “Il vedere le sfere fermate per più d’un giorno, non solo, ma soggetto bensì nella stagione invernale a ritardare di non pochi minuti, ci porge occasione di dimostrare che un oggetto di tanta importanza viene trascurato o per parte del custode, o perché realmente guasto, ed in questo caso preghiamo chi spetta perché proveggasi a simile inconveniente”. Inoltre si auspica anche un orologio per vedere le ore anche di notte: “Preghiamo il Municipio d’attuare un orologio notturno, per discernere le ore in tempo di oscurità, come si è usato in molti paesi”.
In questo periodo il cardinale Chiarissimo Falconieri commissiona al ravennate Filippo Mazzotti la costruzione di un “grande orologio a scappamento ad àncora con una sola soneria per le ore e li quarti costrutta sopra un nuovo sistema; con scampanio a due campane scoccato appena il mezzodì e la mezzanotte, e con un macchinismo per segnare i giorni del mese”. L’orologio sarà sistemato nella torretta del palazzo dell’Arcivescovado.
La meccanica, però, non avrebbe sostituito la poesia, e l’ombra delle gnomone riuscirà ancora a farsi strada anche in mezzo ai nuovi congegni, tant’è che il poetico “orologio solare” sembra essere ancora in grado di dare una mano ai moderni meccanismi i quali, per la verità, non sembrano ancora offrire garanzie di precisione. Meglio, dunque, fidarsi del Sole, come si deduce da queste considerazioni di un cronista che nel settembre del 1866 sottolineano i difetti del pubblico orologio meccanico: “L’orologio pubblico della nostra città, forse perché consunto dalla vecchiaia, sembra per sé incapace di segnare colla necessaria precisione il tempo. A questo difetto però si potrebbe in gran parte ovviare, quando il custode avesse qualche sicura norma onde tenerlo registrato a dovere; al che basterebbe una buona meridiana”.
Nella piazza davanti all’orologio la meridiana esiste già, disegnata dai veneziani sulla colonna nord della Piazza, “ma questa non può servire all’uopo, perché, secondo le osservazioni degli intelligenti, essa è difettosa”. E in effetti l’articolista invita i ravennati a verificare di persona il mal funzionamento della meridiana soprattutto nei quattro periodi principali dell’anno (i due solstizi e i due equinozi).
Si invita pertanto il Comune a provvedere alla soluzione di questo inconveniente “facendo correggere la vecchia meridiana, il che potrebbesi effettuare allorché si darà mano a stabilire l’altra colonna a perpendicolo sulla base, o meglio facendo tracciare un Orologio solare completo in qualche parte della pubblica piazza. In questo caso, ci sia concesso di esternare un altro voto; cioè che il nuovo Orologio solare venga costruito in modo da segnare mezzogiorno tanto a tempo vero, quanto a tempo medio, affinché, seguendo l’esempio di molte altre città, il pubblico Orologio meccanico venga registrato a tempo medio, e serva così di norma sicura per calcolare l’ora delle corse sulla ferrovia”.
Evidentemente il problema della misura esatta del tempo interessa tutta la città, e alcuni giorni dopo il problema ritorna ad essere trattato sulle colonne del Ravennate. Il restauro della meridiana della colonna comporterebbe non poche difficoltà e un notevole costo e pertanto si suggerisce di costruire una nuova meridiana in un luogo più opportuno che dia maggiori garanzie per il funzionamento dell’orologio meccanico: “Quindi a rendere la cosa più facile ed economica il sito più opportuno a tracciare una nuova meridiana sarebbe in una parte del muro ottagonale della chiesa del Suffragio, e precisamente su quella che guarda alla piazza sopra all’angolo di detta chiesa. In quella posizione s’avrebbero due vantaggi che certo non si presentano nella vecchia meridiana. Primo che in qualunque parte della piazza la nuova meridiana sarebbe da tutti veduta, essendo quello spazio, su cui sarebbe delineata, abbastanza grande per renderla ostensibile anche in grande distanza; secondo che sarebbe comodissima a colui il quale regola l’orologio comunale, perché nel punto di mezzo giorno senza perdere un minuto secondo non avrebbe che a guardare all’indice della meridiana per regolare il suddetto orologio”.
Il progetto della costruzione di un orologio solare sulla cupola del Suffragio non va però a buon fine, ma poco più di dieci anni dopo viene deliberata dal Consiglio comunale la costruzione di una meridiana a tempo medio di Roma e nell’agosto successivo la realizzazione viene affidata al ravennate Giovanni Zaffi Gardella: “Apprendiamo con piacere essere il nostro concittadino Giovanni Zaffi Gardella di delineare per commissione di questo Municipio della Meridiana a tempo medio di Roma nella Piazza Garibaldi”.
A Ravenna il tempo sembra non volerne sapere di rigare dritto, ed è sempre il Ravennate a denunciare un orologio che “segna e batte le ore a modo suo” e di fronte a questo mal funzionamento la gente non sa se prendersela con la macchina o con chi è addetto alla sua regolazione. Il mal funzionamento dell’orologio è notato da abbastanza tempo, se già i ravennati riuscirono a preparare anche una filastrocca per esprimere il loro disappunto:
È fermo? È guasto? Oppur l’hanno venduto?
Quel coso che dicevasi orologio
Perché non segna più? Non suona l’ore?
O se le suona, va da palo in frasca,
E sembra un vecchio ch’abbia il mal umore?
I ravennati n’han già pien la tasca
Vorriano aver nel dì precise l’ore
E pregano e pregano il Padre Eterno
Che mandi presto un buono aggiustatore
E il levi dal dormire il sonno eterno.
Conclude la filastrocca un’altra lamentela: il quadrante dell’orologio viene spento troppo presto, quando è ancora buio.
Nell’estate del 1899 il mal funzionamento dell’orologio pubblico sta diventando una caratteristica della città: “È tradizionale che l’orologio di piazza debba andar male anziché bene” e la constatazione è accompagnata dalla notizia che cinque o sei persone che si erano fidate dell’orologio pubblico persero il treno!
Anche la stazione ferroviaria ha il proprio orologio, ma all’inizio del Novecento si nota che fra l’orologio della stazione e quello della pubblica piazza c’è uno sfasamento di 8 minuti e la situazione è aggravata dal fatto che nessuno è in grado di stabilire quale dei due orologi debba essere considerato esatto.
Nemmeno il nuovo secolo porta bene all’orologio della piazza, che spegne il quadrante ancora troppo presto suscitando le lamentele dei ravennati, ma soprattutto “va bene come…il tempo e come questo corre capricciosamente avanti e indietro. Anche stamane esso ha messo in confusione tutti gli altri orologi e fatta perdere la pazienza alla gente. Difatti ieri sera l’orologio è corso avanti di non pochi minuti. Ne è venuta di conseguenza che stamattina molte persone ne rimanessero giustamente sorprese. Come è evidente, il fatto non è tanto piacevole e noi ci rivolgiamo senz’altro al Comune raccomandandogli di curare un po’ meglio almeno…l’andamento dell’orologio di piazza”.
Tirato in ballo nella questione, scende in campo anche Augusto Baccarini, custode dell’orologio, “rilevando che quando l’orologio pubblico si faceva camminare di pari passo con quello della stazione ferroviaria, la gente diceva essere meglio farlo avanzare di 5 o 6 minuti; ora che precede di pochi minuti il suo collega ferroviario si dice che cammina troppo. E il signor Baccarini conchiude essere molto difficile accontentare tutti… specialmente quando si tratta di orologi”.
Sembra anche che il freddo influisca sul buon funzionamento dell’orologio della piazza, che nel febbraio del 1917 risulta addirittura essere inchiodato dal freddo.
È interessante ricordare che all’inizio del Novecento qualcuno tenti di sfruttare l’orologio meccanico a scopo pubblicitario. Nell’esposizione di Milano del 1906, infatti, la ditta ravennate “Dott.Pietro Martinetti” presenta un “orologio grammofonico réclame” di oltre un metro di diametro e provvisto di due trombe che diffondono tramite un grammofono messaggi pubblicitari. L’orologio réclame è formato da ben 2414 pezzi ed è sistemato su di una colonna di ferro battuto opera di Sante Mingazzi.
Le ultime vicissitudini dell’orologio pubblico risalgono al periodo dopo la Liberazione, quando venne ripristinato un orologio con quadrante in legno perché mancava il vetro. L’orologio, però, non batteva le ore e il particolare viene ricordato dal cronista di Romagna Proletaria che suggerisce anche la soluzione al problema: “Ora che la Società Elettrica Romagnola sta distribuendo la corrente elettrica a tutta la popolazione, non si potrebbe dare la corrente al piccolo motore che alimenta la suoneria dell’orologio?”.
Oggi il tempo a Ravenna è scandito da un rinnovato orologio sulla torretta del palazzo della Banca Nazionale del Lavoro, che col suo quadrante illuminato sembra un occhio che vigila attento sul tempo dei ravennati. Le ore sono segnate da rintocchi di una campana, mentre un suono diverso annuncia i quarti.
Oggi gli orologi moderni sono silenziosi e non esiste più il caratteristico tic tac. Il progresso sembra aver cancellato il rumore del tempo, che fila via liscia proprio come l’ombra dello gnomone che attraversa il quadrante di un orologio solare. Sembra, dunque, che il silenzio accomuni l’antico e il moderno suono. E il grande complesso gnomonico sulla parete del Planetario, inserito in una città dove il rumore del progresso costituisce una incancellabile realtà pulsante, vuole in fondo insegnare che esiste una lettura silenziosa del tempo. Anche il silenzio, dunque, può avere cittadinanza in mezzo ai frastuoni dell’oggi. E il silenzio induce alla riflessione sulla stretta connessione fra il tempo e i grandi cicli della natura. Il tempo, dunque, diventa la strada maestra per penetrare i misteri della natura. Tempo come conoscenza, ma anche come rispetto per quei meccanismi naturali che oggi l’uomo non sempre rispetta.
IL GRANDE OROLOGIO SOLARE CENTRALE
Nella zona centrale della parete è dipinto un grande orologio solare nel quale molte simbologie cosmiche della Terra e del Cielo sono unite in un’unica “macchina”, dove tutto gira e si muove in sincronia con ogni altra sua parte. Alcuni elementi del gruppo gnomonico sono stati presi dalla tradizione ravennate e sono perciò ben conosciuti dalla gente, perché molti di questi fanno ancora parte dell’arredo urbano antico.
I cicli solari generano le stagioni, quelli lunari i mesi, mentre la rotazione della Terra determina la lunghezza del giorno. Questi fenomeni, tutti presi come siamo dalla routine quotidiana, troppo spesso passano inosservati, mentre invece sono importantissimi perché da essi dipende la vita sulla Terra. Le piante, gli uccelli, i pesci, l’uomo, in una parola tutti gli esseri viventi del globo non possono fare a meno dei cicli cosmici di cui essi stessi fanno parte.
Tutti questi cicli sono considerati dal grande orologio solare del Planetario: l’anno, i mesi e le loro decadi, l’entrata del Sole nei “segni” zodiacali, l’ora dell’alba e del tramonto, le ore del giorno (ore oltramontane), le ore dal sorgere (ore babiloniche), quelle dall’ultimo tramonto (ore italiche), ed il passaggio del Sole al meridiano di alcune capitali europee. L’orologio solare del Planetario forma un angolo da Sud verso Est di 54° 39′ 18” (declinazione della parete), e pertanto può ricevere la luce del Sole dalle 5 del mattino fino alle 14. Lo gnomone è lungo 150 centimetri e nasce dalla Stella Polare posta al centro di un cielo rappresentato da stelle concentriche, ispirato dalla famosissima volta celeste che si può ammirare all’interno del Mausoleo di Galla Placidia. Alcune stelle del giro più esterno sono contrassegnate col nome di una città e ciò significa che quando l’ombra dello gnomone passerà su una di queste, sarà mezzogiorno vero nella città indicata.
Nell’angolo in basso a sinistra, una grande sfera armillare rappresenta il Cosmo con la Terra al centro. È stata scelta la visione geocentrica perché costituisce il nostro naturale punto di vista. La Sfera è rappresentata con il cerchio meridiano, i due cerchi solstiziali e l’equatoriale. Trasversalmente a questi passa la fascia dello zodiaco. Attorno alla sfera armillare sono mostrate simbolicamente le quattro fasi lunari. Sul quadrante centrale si possono leggere tre tipi di ore, ciascuno dei quali identificato da un colore diverso: bruno per le ore oltramontane, ocra per le ore italiche e blu per le ore babiloniche. L’insieme delle linee orarie è attraversato da curve tratteggiate che indicano l’ingresso del Sole nei vari “segni” dello zodiaco, illustrati per intero da figure poste fra gl’interspazi di ogni curva.
Le immagini del “bestiario celeste” sono state tratte dalle formelle di Pietro Lombardo che si trovano alla base della colonna veneziana di San Vitale in Piazza del Popolo. Le curve esterne, di colore rosso, rappresentano i “limiti solstiziali”, vale a dire gli estremi dell’orologio che non verranno mai oltrepassati dall’ombra dello gnomone. In alto è visibile la linea del solstizio d’inverno (22 dicembre), che corrisponde al dì più breve, mentre in basso troviamo la linea del solstizio d’estate (21 giugno), che corrisponde invece al dì più lungo. Attraversa diagonalmente il quadrante la linea rossa degli equinozi di primavera (21 marzo) e d’autunno (23 settembre), ovvero l’ingresso del Sole in Ariete, quand’esso è in ascesa, ed in Bilancia, quando è in discesa.
La retta bruna orizzontale, che termina con un Sole nascente, rappresenta l’orizzonte.
Agli estremi destro e sinistro delle curve sono state segnate, sotto ai nomi dei mesi, le scale delle decadi e, più esternamente, le ore dell’alba (a sinistra) e del tramonto (a destra). L’ombra proiettata da una sfera collocata sullo gnomone a 120 centimetri dalla sua origine consente la lettura dell’orologio. Fra i limiti solstiziali è tracciata la rete delle linee orarie: le brune si aprono a ventaglio ed hanno origine nel punto dove si colloca lo gnomone, le ocra sono invece fortemente inclinate verso destra e le blu verso sinistra.
Abaco delle altezze e degli Azimut
Il primo riquadro in alto sulla fascia laterale sinistra è detto abaco delle altezze e degli azimuth. Altezza e azimut sono due coordinate celesti di un particolare sistema di riferimento detto altazimutale.
L’altezza di un astro è l’angolo, contato in gradi da 0° a 90°, misurato a partire dall’orizzonte verso lo zenit. L’altezza del Sole varia costantemente durante l’anno, raggiungendo il massimo al solstizio d’estate ed il minimo al solstizio d’inverno.
L’azimut è l’angolo formato dal Sole con il punto cardinale Sud.
Si misura in senso orario da 0° a 360°.
L’apice del piccolo gnomone mostra costantemente questi valori. Numerate a intervalli di 10°, le linee parallele verticali mostrano l’azimut del Sole, o anche della Luna purché brilli sufficientemente. Questo valore sarà positivo se l’astro si troverà verso Est, negativo se verso ovest.
Le parabole che incrociano le linee azimutali sono dette curve di altezza. Il valore dell’altezza, misurato anche in questo caso a intervalli di 10°, è sempre positivo.
Tabella del ciclo pasquale dal 1995 al 2071
Nel pannello mediano è dipinta una tavola della Pasqua ispirata alla più celebre tavola marmorea del VI secolo conservata presso il Museo Arcivescovile. La tavola riporta il computo pasquale, oggi non più usato, che la Chiesa adottò nel 532. Per distinguere la Pasqua cristiana da quella ebraica (che la regola stabiliva al primo plenilunio dopo l’equinozio di primavera, fissato al 21 marzo dal Concilio di Nicea del 325), fu utilizzato il sistema dei cicli lunari e un metodo matematico-astronomico in modo tale che le due date non potessero mai essere coincidenti.
In pratica si stabilì che la Pasqua dovesse sempre essere celebrata la domenica successiva al primo plenilunio dopo l’equinozio di primavera, e per calcolare ciò si utilizzavano il ciclo decennovenale o metonico, cioè il numero d’oro, il ciclo lunare e la lettera domenicale. Così, partendo dall’assunto di Metone (sec. IV a.C.), che voleva l’esatto ripetersi delle lunazioni ogni diciannove anni, Dionigi compose il Grande ciclo pasquale, adottato da quasi tutta la totalità della Chiesa Cristiana. Lettera domenicale – Indicando con la lettera A il giorno di capodanno e con B,C,D…i giorni successivi, la lettera domenicale corrisponde alla prima domenica di gennaio. La tavola marmorea ravennate riporta, per un periodo dal 532 al 676, le date della Pasqua e l’età della luna per quel giorno, il numero d’oro dell’anno, ovvero il ciclo lunare o metonico, il termine pasquale, cioè la luna XIV^, il numero del ciclo decennovenale, e il tipo di anno (embolismico o comune). L’orologio solare del Planetario non poteva contenere tutti questi dati, anche perché molti di loro, dopo la riforma gregoriana del calendario, sono divenuti ormai obsoleti. Sono state riportate, perciò, solamente le epatte, il numero d’oro, e la data Pasquale, dal 1995 al 2071.
Ogni settore del nostro calendario comprende quattro anni con l’epatta comune (es. EP. XIX). Per ogni anno vengono resi noti il numero d’oro (es. AN. XI) e la data della Pasqua (es. PAS. 27 MAR.). Per motivi di praticità abbiamo lasciato l’epatta invariata, anche se in realtà dal 2000 in poi dovrà essere aumentata di una unità. Si definisce epatta l’età della Luna al 31 dicembre dell’anno precedente, dove per età della Luna si intendono i giorni trascorsi dall’ultima Luna Nuova. L’età della Luna si conta da 1 a 30. Il termine deriva dal greco epaktai emerai, che significa “giorni aggiunti”.
L’ultima luna nuova del 1996 si è verificata il 10 dicembre e pertanto al 1 gennaio 1997 l’età della Luna era di 21 giorni.
Per calcolare l’epatta dell’anno successivo occorre aggiungere 11 (differenza fra l’anno comune di 365 giorni e l’anno lunare di 354) all’epatta dell’anno precedente. Se, però, il numero ottenuto risulta superiore a 30, occorre sottrarre 30. Per calcolare l’epatta del 1998, dunque, si procederà in questo modo:
21 (epatta del 1997) + 11 = 32. Essendo 32 maggiore di 30, occorre effettuare la sottrazione 32 – 30 = 2, epatta del 1998.
Per gli anni in cui le ultime due cifre sono un multiplo di 19, anziché 11 occorre aggiungere 12.
Il procedimento va applicato, ad esempio, al 1995, anno per il quale il 95 è multiplo di 19.
Per il calcolo dell’epatta del 1995 si parte dall’epatta dell’anno precedente, che è 17, e a questa si aggiunge 12: 17 + 12 = 29 è l’epatta del 1995.
L’epatta consente di conoscere, approssimativamente, il numero dei giorni lunari in qualsiasi momento dell’anno, la data del novilunio o del plenilunio per un dato mese, nonché la data della Pasqua e delle altre festività mobili.
Si può conoscere l’epatta di un anno qualunque senza sapere quella del precedente, con l’aiuto del numero d’oro.
Il numero d’oro, che si conta da 1 a 19, si deve a Metone, un astronomo ateniese del V secolo a.C., il quale constatò che 235 lunazioni corrispondevano con buona approssimazione a diciannove anni solari. La posizione della luna, rilevata in un tempo qualsiasi, si ripeteva quindi diciannove anni più tardi. Convinti dell’importanza di questa scoperta, gli ateniesi scrissero a lettere d’oro la grande scoperta nella piazza principale della città.
Per conoscere, perciò, il numero d’oro di un anno qualsiasi, si divide per 19 la cifra dell’anno aumentato di uno: il resto sarà il valore cercato.
Per calcolare il numero d’oro del 1997 si divide 1998 (valore dell’anno aumentato di uno) per 19. La divisione dà come quoziente 105 e resto 3. Il numero d’oro del 1997 è dunque 3.
Se il resto della divisione è zero, allora il numero d’oro è 19.
Noto il numero d’oro N, l’epatta è il resto della seguente divisione: (N x 11 – 12): 30.
Ma se (N x 11 – 12) è minore di zero, l’epatta è il risultato della sottrazione di questo numero, privato del suo segno negativo, da 30.
Come esempio calcoliamo l’epatta del 1995. Essendo 1 il numero d’oro dl 1995, avremo (1×11-12) = -1. L’epatta è data allora da 30-1=29.
Se, invece, (N x 11 – 12) è maggiore di zero ma minore di 30, l’epatta sarà il risultato ottenuto, senza altre operazioni. Come esempio calcoliamo l’epatta del 1977, il cui numero d’oro è 3. Sostituendo si ha (3×11-12)=21, valore dell’epatta.
Tabella di correzione del tempo vero
Quest’ultimo, infatti, è il tempo medio dell’Europa centrale (TMEC), un tempo convenzionale, imposto da vari fattori economico-politici.
È il cosiddetto tempo civile.
Per trasformare l’ora del quadrante solare nell’ora civile basterà aggiungere o sottrarre, a seconda della data, i minuti segnati nella tabella.
Per esempio, se il 1 maggio volessimo sapere che ora deve mostrare il nostro orologio meccanico quando il quadrante solare segna le 12, basterà aggiungere gli 8 minuti scritti nella tabella a 12, ed il risultato sarà il tempo che cerchiamo. Se invece, i minuti in tabella sono preceduti dal segno negativo occorrerà sottrarli.
Le ore Oltramontane
Le ore francesi, o oltramontane, erano molto simili alle ore astronomiche, e per questo motivo spesso sono state confuse.
L’unica differenza era che le une si contavano a partire dalla mezzanotte e le altre dal mezzogiorno.
Il numero totale delle ore era sempre 24, divise in 12 antimeridiane ed altrettante pomeridiane, e con le dovute correzioni, esse sono le stesse che utilizziamo oggi.
La venuta in Italia di Napoleone segnò la fine ufficiale del sistema orario italiano. In realtà l’adozione delle ore oltramontane non fu immediata, ma fu necessario quasi un secolo, perché non tutti erano disposti ad accettare la novità.
L’ombra dello gnomone si pone direttamente sopra le linee stesse e così mostra il tempo che passa.
Le ore Babilonesi
Le ore contraddistinte dalle linee blu sono le ore babilonesi, così chiamate perché anticamente erano usate da quelle popolazioni.
Le ore di Babilonia sono 24, tutte uguali fra loro, ed il loro computo aveva inizio all’alba, nel momento in cui il centro del Sole si trovava all’orizzonte orientale. In quell’istante aveva inizio la prima ora del giorno e terminava l’ultima del dì precedente. Per questo motivo la linea di quell’ora è numerata con lo zero.
Con questo metodo è facile conoscere in ogni momento il numero delle ore trascorse dall’istante in cui è sorto il Sole.
Per determinare l’ora del tramonto occorre considerare l’intersezione della linea blu con la linea bruna verticale del mezzogiorno, leggere il corrispondente valore e moltiplicarlo per due.
Le ore italiche
Le linee ocra rappresentano le ore italiche, così chiamate perché usate quasi esclusivamente nella nostra penisola. Esso sostituì il metodo antico romano e medievale verso la seconda metà del XIV secolo, quando fecero la loro comparsa i primi orologi meccanici da torre. Ma in verità dovette trascorrere ancora quasi un secolo prima che il vecchio sistema fosse definitivamente soppiantato. Che le “ore italiche” fossero ancora in uso nel Settecento è dimostrato dal fatto che Goethe si lamenta di questo computo delle ore nel suo “Viaggio in Italia”.
Le ore italiche si contavano a partire dal tramonto del Sole, ed erano 24 in tutto.
Contrariamente, quindi, alle babiloniche, le ore italiche ci informano sul tempo di luce restante. Togliendo da 24, che è il numero totale delle ore in un giorno, l’ora italiana segnata dall’orologio solare, otterremo le ore che ci separano dal tramonto. Nell’orologio italiano, come in quello babilonese, l’ombra dello gnomone non giace sulle linee orarie. L’ora viene, perciò, mostrata dal puntatore sferico che si trova sullo gnomone stesso.
La Grande Meridiana
Il disegno della meridiana qui riprodotto è la copia, riveduta e corretta per il nostro tempo, della meridiana costruita da Giovanni Zaffi Gardella nel 1880, collocata sulla parete rivolta a Sud in Piazza Garibaldi. Il Gardella la costruì, infatti, per il meridiano di Roma, mentre oggi quel meridiano è stato sostituito dal fuso orario, che per noi è il meridiano dell’Etna. La meridiana del Planetario mostra il mezzogiorno medio dell’Europa centrale, quando la luce solare che passa attraverso il foro al centro del disco dello gnomone e corre lungo la linea a forma di 8, ed il mezzodì vero di Ravenna, quando invece è sulla retta verticale.
La meridiana del Planetario svolge anche la funzione di calendario, fornendo per ogni data significativa (il primo giorno di ogni mese, i solstizi e gli equinozi) i gradi di declinazione del Sole, cioè l’angolo misurato dal centro della sfera terrestre, fra il piano dell’equatore celeste e l’Astro stesso.